
Oliviero Toscani, figura iconica della comunicazione visiva, si è distinto non soltanto per l’uso magistrale della fotografia, ma soprattutto per la sua innata propensione a trasformare l’immagine in un potente strumento di provocazione sociale. La sua peculiarità risiede nell’aver considerato la macchina fotografica come uno dei tanti mezzi espressivi: un dispositivo che padroneggiava con abilità tecnica ma che avrebbe potuto essere sostituito da un altro linguaggio visivo, purché capace di trasmettere con eguale incisività la sua visione. In altre parole, il merito di Toscani non si limita al suo “occhio fotografico”, bensì alla capacità di strutturare un’idea e di trasformarla in un messaggio potente, volutamente privo di filtri…come lui.
L’impressione che abbiamo avuto vedendo e studiando le sue opere è che fotografia non è mai stata una semplice illustrazione, ma un intervento che costringe il pubblico a confrontarsi, talvolta in modo scomodo, con tematiche spesso trascurate dal dibattito mainstream. L’approccio di Toscani parte dalla provocazione come scintilla per accendere il confronto pubblico, d’altronde molti sono stati i suoi interventi televisivi che hanno svegliato molti dormienti. Il suo obiettivo è stato quello di costruire un immaginario collettivo intorno a questioni spesso taciute, come il razzismo, la pace, l’omosessualità, la pena di morte o il consumismo estremo. L’uso di immagini volutamente scioccanti, pur esponendolo a critiche e censure, ha messo in luce la sua abilità di leggere la realtà e di rivelarne le verità più scomode, senza alcun eufemismo.
Uno degli aspetti fondamentali del suo linguaggio visivo risiede nell’assenza di schermi fra concetto e rappresentazione. I soggetti – spesso ritratti in primo piano, con inquadrature essenziali e colori accesi – appaiono in modo diretto, senza la tradizionale cornice pubblicitaria che edulcora il contenuto.
Parlare di tutte le sue provocazioni fotografiche sarebbe impossibile: per questo ne presentiamo tre, tratte da tre campagne diverse:
1. “Tre cuori” (United Colors of Benetton, 1996)

“Tre cuori” (Three Hearts) è una delle campagne pubblicitarie più celebri (e controverse) realizzate per Benetton. L’immagine mostra tre cuori umani affiancati, ognuno con un’etichetta recante le scritte “White”, “Black” e “Yellow”, riferite alle diverse etnie. Niente fronzoli: tre cuori su un fondo bianco (assenza di colore, un segno distintivo di Toscani), illuminati da una luce dura proveniente da sinistra e corredati di semplici scritte in nero. Alcuni trovarono l’immagine disturbante, ma qui il punto è la verità: più che nuda, cruda. E in fondo, cosa turba di più: la fotografia o il messaggio che contiene? A quasi trent’anni di distanza, sta a voi rispondere.
2. “No Anorexia” (Nolita, 2007)

La campagna “No Anorexia” per Nolita ritraeva la modella francese Isabelle Caro, gravemente affetta da anoressia, con l’intento di denunciare la pressione esercitata dal mondo della moda sui canoni di bellezza. L’immagine scioccante, in cui la modella appare nuda su un pavimento, illuminata da una luce quasi verticale con ombre proiettate a terra, fu aspramente criticata per la sua crudezza, ma al tempo stesso elogiata per aver sollevato un dibattito mondiale sui disturbi alimentari. L’anoressia è lì, mostrata senza filtri. Dunque, di cosa indignarsi?
3. “Chi mi ama mi segua” (Jesus Jeans, 1972)

Fu uno dei primi grandi scandali legati a Toscani (come ricorda Nicolas Ballario). La campagna generò notevole clamore mediatico: il 17 maggio, il giornale vaticano “L’Osservatore Romano” definì l’immagine blasfema; il giorno successivo, un ufficiale della Buoncostume sequestrò tutti i poster e il materiale fotografico su ordine di un pretore. Al centro della controversia c’era il sedere di una modella, accompagnato dalla frase “Chi mi ama mi segua”, considerato un simbolo di profondo rinnovamento giovanile e sessuale.
Tra le tante reazioni, spicca quella di Pier Paolo Pasolini, che in un articolo sul “Corriere della Sera” definì questa pubblicità il “nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale”, intravedendo nella provocazione un’anticipazione dei valori emergenti nella società di quegli anni. A distanza di oltre mezzo secolo, è lecito chiedersi: chi aveva ragione?
Oliviero aveva ragione. Cazzo se ne aveva…a modo suo ma ce l’aveva.
Durante la pandemia, Oliviero aveva creato una community di fotografi e aspiranti fotografi, supportato da Nicolas Ballario, Settimio Benedusi, Franco Fontana e altri colleghi. Passavamo i pomeriggi su Zoom a seguire le loro dirette, spesso lunghe, in cui ci si metteva alla prova con esercizi e discussioni. Avere Toscani e Fontana in diretta con noi era un’opportunità unica. Oliviero assegnava compiti, revisionava i lavori dei partecipanti e permetteva a tutti di intervenire e confrontarsi. In quel periodo non esistevamo ancora come Anonima Fotografi, ma eravamo tanti singoli, anonimi, ciascuno con le proprie idee e prospettive.
Qui vi proponiamo alcuni degli scatti che abbiamo avuto modo di discutere con Oliviero in quel periodo.





Stay anonima 🤌🏻
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